Quella che io definirei Arte Socialmente Utile (ASU), non è necessariamente una rappresentazione pittorica, scultorea, grafica… ma una manifestazione, un’azione, un “segno” eseguito da un individuo o da un gruppo di persone o dalla stessa natura che arreca beneficio alla collettività.
La natura di per sé è arte e chi ne comprende i meccanismi, le sue strutture per riprodurle nel proprio lavoro è un’artista. Un esempio estremo è Antoni Gaudì, architetto, ma ancor prima biologo e il che gli consentì di poter applicare le auree regole della natura ai suoi progetti, strutturalmente ed esteticamente: forme e strutture di conchiglie, foglie, alberi…
Anche il designer che progetta la bottiglia in vetro ma rivestita in materiale infrangibile ecologico e anti UV, è da considerarsi socialmente utile in quanto ha eliminato il problema della trasformazione in benzene di alcune particelle d’acqua quando le bottiglie d’acqua in PVC sono esposte ai raggi solari.
Non è importante la bellezza, l’armonia, il design, la qualità tecnica dell’opera dell’ASU, ma la sua funzionalità nel risolvere un problema o comunque la capacità di innescare un concetto, attivare un momento di pensiero nell’osservatore o fruitore dell’opera, che lo sensibilizzi ad un problema.
L’ASU non necessariamente ha compiuto studi d’arte e con essa non ci avrà mai avuto nulla a che fare, ma ha avuto l’intuizione e l’idea per materializzare la soluzione di un problema. Gli scugnizzi che vendevano ai turisti l’aria di Napoli in scatola ai soldati americani, erano artisti: avevano in parte risolto il problema economico delle loro famiglie numerose che si accalcavano nei bassi dei Quartieri Spagnoli.
Idea poi ripresa da Piero Manzoni con la sua Merda d’Artista (che fece scattare il pensiero relativo alla degenerazione dell’arte di quel periodo) e da Napolimania, nota azienda di gadgetteria partenopea.
L’arte è innanzitutto creatività, ma molte sono le opere inutili, fini solo a sé stesse, con “eccesso di creatività”, per fare mercato e non fruibili concettualmente o praticamente, per la massa. L’ASU crea l’opera che a volte inconsapevolmente rende un servizio, un beneficio al popolo.
Un architetto che progetta una piazza a dimensione umana, con zone d’ombra per l’Estate, pertiche per adulti e giochi per bambini, una mini-arena per congressi popolari, una fontana con giochi di luci a tempo di musica, megaschermo che trasmetta informazione culturale, panchine innanzi a monitor per leggere libri… è un’artista. Architetto, ma artista. Socialmente utile perché riporta in una dimensione umana l’individuo. Riprende il senso dell’Agorà di quella che dovrebbe essere di una civiltà democratica.
Un artista che non contribuisce al miglioramento sociale contemporaneo, non è assolutamente da buttar via. Anzi, egli è colui che fornisce gli strumenti espressivi che provengono dalla ricerca sperimentale di nuove tecniche (gli impressionisti), utilizzo di materiali insoliti (Picasso e la sua Natura morta con sedia impagliata), metafore letterarie, stravolgimenti nell’uso del colore (Gauguin), simbolismi, adotterà la ricerca matematica (la prospettiva rinascimentale), quella scientifica e tecnologica (video arte, net-art) per raggiungere nuovi traguardi espressivi dell’arte che poi porteranno inevitabilmente a spunti per altri artisti che emuleranno tecniche e ricerca per realizzare opere utili. Il caos nell’arte, qui intesa come produzione smisurata di opere di ricerca tecnica, scientifica e materica, è necessario per generare stelle nascenti. È come trovarsi in una grande città assediata dal traffico, con auto di grossa cilindrata, inquinanti, voluminose, bellissime ma con l’impossibilità di parcheggiare e in tale caos c’è chi fabbrica poi auto elettriche, city-car.
Il bello salverà il mondo” diceva Dostojievskji, ma l’Arte Utile (che è bella perché utile ma non necessariamente esteticamente bella) è forse il cammino per il salvataggio dell’umanità.
E il trend si sta innescando… I flash-mob, la fun-theory della Wolks-Wagen, le critical-run ne sono le testimonianze.
Joseph Beuys si batteva per l’ecologia e contro le dittature.
Andy Warhol, forse senza rendersene conto, ridicolizzava le confezioni dei prodotti del consumismo di quelle che poi sono diventate multinazionali (Del Monte, Campbell’s) ed esasperava l’assefuazione della tragedia.
Claes Oldenburg contestava contro la guerra in Vietnam col suo “Lipstick” o contro l’eccessivo consumo di dentifricio.
Il movimento Fluxus contestava la mercificazione dell’arte che invece deve essere “a prescindere”, senza i condizionamenti delle sponsorizzazioni di mecenati o amministrazioni governative.
Oggi il mondo è afflitto da grossi problemi planetari: effetto serra, acqua, crisi economica, nucleare, dittature, informazione imbavagliata... Gli artisti dovrebbero avere la sensibilità e la coscienza di rappresentare queste tematiche per porre l’accento sui disastri sociali e ambientali verso cui stiamo andando.
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