Per 24 ore eravate nel mio mondo ma io ero senza diritto di
parola.
Credo che sia l’ultima trovata di Facebook: ti blocca ma
puoi scrollare la bacheca, puoi leggere tutto di tutti, puoi entrare a dare
un’occhiata nei gruppi e sulle pagine… ma ti si impedisce di scrivere commenti.
Non puoi nemmeno cliccare un like.
Costretto a restare muto. Come in certi coma di cui si
racconta che il paziente è totalmente cosciente di ciò che gli accade intorno
ma non ha capacità reattive se non una lacrima che gli scende sul volto.
Come una nuova tortura virtuale. La tortura 2.0.
Il motivo della punizione? Una roba che credevo fosse finita
lì: mi era stata rimossa una foto fatta alla mostra di Helmut Newton ma a
distanza di qualche giorno mi sono ritrovato anche sbattuto fuori. In castigo. Nuovo
accesso, nuova password, nuovo codice di sicurezza e poi la schermata di foto
(mie) di cui dovevo spuntare quelle che non rispettavano gli standard della
piattaforma. “Tutte caste, niente tette, niente violenza”, mi dico e quindi non
spunto nulla e vado avanti.
Ma ecco la sorpresa appena rientro su Facebook… non posso
scrivere il mio status del giorno. Come se qualcuno mi impedisse di scrivere
sul mio diario personale che tengo nel cassetto della scrivania.
Non posso commentare i post degli amici. Non posso cliccare
nemmeno un like.
Non ho più diritto di parola. Per 24 ore, mi dice Facebook.
E chi le decide le 24 ore?
Ma chi sei tu che mi impedisci di esprimermi?
Non posso rispondere ai commenti sui miei post e per chi non
sa del castigo impostomi immagino che potrebbe pensare che sia un codardo o uno
scostumato che si è dileguato. Nelle migliori delle ipotesi.
Per chi gestisce il proprio brand anche sui social è un
danno non da poco apparire come uno che pianta in asso decine, centinaia,
migliaia di followers.
Stranamente Messenger funziona e quindi qualcosa in privato
l’ho potuto comunicare.
Cosa inquietante è la censura preventiva di Facebook.
Se un utente posta in un tuo gruppo qualcosa che Facebook individua subito come "fuori regole", ti arriva in tempo reale una notifica: "segnalazione automatica".
Come possa farlo è spiegato qui.
Ma il problema non è solo questo.
Io se voglio chiacchierare con qualcuno, sono uno di quei
fortunati che in piena autonomia può uscire di casa per incontrare qualche
amico.
Immaginate invece se fossi stato un paraplegico, un disabile
o un anziano costretto ad avere come unico contatto col mondo esterno questo
Facebook.
“Eh”, mi direste, “la prossima volta non posti una foto di
tette e culi”. Non è una risposta giusta perché anche se pubblico la Venere
Callipigia o il Nettuno di Piazza Maggiore a Bologna potrei incappare nella
censura senza saperlo.
Ma c’è dell’altro… Facebook ti avvisa che se continui a
postare foto contro i suoi standard, ti blocca poi in maniera permanente. Ma
non ti offre uno strumento per testare preventivamente una foto prima di
postarla.

E se lo fai ancora e poi ancora, sei bannato definitivamente; hai la fucilazione digitale, diventi un cadavere virtuale. Ma Facebook non ti dice quante possibilità di "sopravvivere" hai ancora, non ti dice quante volte hai sbagliato e quante altre te ne restano. C'è probabilmente chi decide sommariamente di uccidere senza giusto processo. Fascismo 2.0.
Ma io non voglio stare attento a queste cazzate. A 53 anni
credo di saper bene a cosa veramente bisognerebbe stare attenti e certe
costrizioni me le fanno girare.
Ecco, volevo soltanto dirvi che Facebook sta culturalmente ammalando una parte della nostra civiltà.
Impedire di divulgare l'arte attraverso immagini di Helmut Newton o i nudi di Corbet, Manet, Goya o le sculture greche lasciando aperti gruppi e pagine che istigano al nazismo, non fa bene.
No, non fa assolutamente bene.